PERCHÉ È IMPORTANTE SMETTERE DI GIOCARE A GOLF?
Dovremmo smettere assolutamente con il golf.
È davvero fin troppo facile spiegare le motivazioni per cui sarebbe opportuno, per chiunque, intendo davvero per tutti i golfisti presenti sulla faccia della Terra, smettere di giocare a golf.
In molti ci hanno provato, in molti hanno cercato in un modo o nell’altro di farcelo capire. Basti pensare ad esempio al celebre aforisma di Mark Twain, secondo cui: “Il golf è una bella passeggiata rovinata”; oppure come dimenticare il più che veritiero motto del poeta statunitense George Dillon, secondo il quale: “I veri golfisti vanno a lavorare per rilassarsi”.
Di esempi, a ben vedere, ce ne sono a bizzeffe, ed è incredibile come ci si interroghi ancora se sia opportuno per lo sprovveduto golfista non ritornare nei ranghi di una sana normalità.
Arrivati a questo punto è davvero necessario mettere un freno all’ampliamento e alla divulgazione di questo sport, poiché il rischio è, purtroppo, che alla fine non si salvi più nessuno!
Troppi, davvero troppi sono gli studi scientifici che ci hanno voluto raccontare dei suoi presunti e innumerevoli benefici.
Esagerate quelle emozioni positive che taluni sostengono di aver provato dopo un bel giro sul percorso. Ma dai! Ma realmente ci troviamo ancora a questo punto?
Quante, quante infinite litanie abbiamo sentito circa il fatto che uno sport di questo tipo utilizzi un impegno cardiovascolare di moderata entità, e che proprio per tale motivo risulti essere benefico e sicuro, nonché adatto a tutte le età.
C’è poi quell’altra storia, quella che racconta della sua presunta capacità di mettere un deciso freno al problema della sedentarietà, per ridurre magari anche i valori della pressione arteriosa, della glicemia e i livelli di colesterolo.
L’idea che poi l’attività fisica praticata alla luce del sole aumenti la produzione di serotonina, e il conseguente buonumore, nonché la sintesi della vitamina D, appare sinceramente qualcosa di trito e di ritrito.
Ma di più: tutti quei movimenti, tutti quegli swing tanto strani per colpire quella dannata pallina sembrano, così dicono, mantenere le ossa e le articolazioni ben allenate, favorendo inoltre un moderato tono muscolare.
Se pensiamo ancora alla bellezza dell’arrivare alla pensione, del non aver finalmente più nulla da fare per poi impelagarsi nuovamente con una presunta passione golfistica, ecco, tutto ciò è qualcosa di ancora più deleterio. Fu un certo guru indiano, un tale Sivananda mi pare, a dire che: “Una mente senza occupazioni è l’officina del demonio”… Sarà, ma perché piuttosto che fare tutta ‘sta fatica non passare i propri pomeriggi di fronte a un bel programma televisivo di cronaca nera, con una bella copertina sulle ginocchia e andando avanti e indietro sulla sedia a dondolo?
I più fanatici parlano ancora…
I più fanatici parlano ancora degli effetti positivi che il colore verde dovrebbe avere sul cervello, favorendo un senso generale di maggiore tranquillità nell’individuo. C’è poi chi riferisce di una maggior ossigenazione da cui trarre beneficio passeggiando in mezzo alla natura, o alla bellezza del giocare alle prime luci dell’alba camminando tra i prati imperlati di rugiada.
Ma i picchi in negativo si hanno molto probabilmente quando si parla di quel famigerato sistema dell’handicap, di quell’invenzione diabolica che permetterebbe a un giocatore alle prime armi di cimentarsi alla pari con un giocatore più navigato, nonché di possedere una classifica personale che tenga conto dei miglioramenti conseguiti.
Ci sono ancora altre scene a dir poco patetiche, come quella di una vittoria conquistata dopo una giornata di fatiche, con la conseguente convocazione al tavolo dei premiati, il tutto accompagnato dall’applauso scrosciante degli altri golfisti.
E come non trattare infine della possibile socializzazione che ne potrebbe conseguire, dove magari – dopo aver goduto di una bella doccia calda – è possibile bere qualcosa al bar del circolo e trascorrere del tempo con gli altri avventori e giocatori, conoscere magari nuove persone, fare amicizia, fidanzarsi… [1]
Non so, qualcosa nelle mie intenzioni iniziali comincia a vacillare… Ora, solo ora ricordo una frase significativa tratta dal libro: “La leggenda di Bagger Vance” dello scrittore statunitense Steven Pressfield, un passaggio che più o meno recitava così:
«C’è qualcosa che mi preoccupa. Mi riferisco alla tua scelta di abbandonare il golf. Quando l’ho saputo, Michael, ho capito che c’era qualcosa che non andava. Una cosa molto grave. Ecco perché ti ho chiesto di venire qui questa sera». [2]
[1] https://youtu.be/qs1Km82PB2s?si=yHXRy73_FBidx8JV
[2] https://youtu.be/AUUBF1pxH78?si=NPYN84njI_xrNIpQ
Bibliografia:
- Swami Sivananda, La potenza del pensiero, GDL, 1999
- Steven Pressfield, La leggenda di Bagger Vance, Rizzoli, 2001
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Ricordo che quando ero bambino irridevo chi si dedicava al gioco del golf, così per come lo potevo osservare in televisione in quelle prime e rarissime trasmissioni condotte dai veri precursori mediatici del nostro sport in Italia. Poi passò qualche anno e, rivedendo casualmente quegli strani movimenti sul piccolo schermo, improvvisamente, così, dal nulla, rimasi folgorato. Più che di un colpo di fulmine si trattò di un vero e proprio colpo di golf, o perlomeno di alcune mie prime fantasie a riguardo, di me che ad esempio tiravo un ferro medio dal centro di un qualche fairway, producendo una palla con un leggero fade che poi atterrava dolcemente sul green, sparendo in quella lontana buca segnalata dall’asta e dal garrire del suo drappo purpureo. Non ho mai giocato a golf per hobby, questo va detto: da quel fatidico giorno decisi che avrei voluto diventare un professionista, e che mi sarei allenato anche fino allo sfinimento per riuscirci. Il caso ha voluto che il quarto e ultimo giorno della famigerata prova per essere ammessi alla Scuola Nazionale Professionisti ritrovai nel mio terzetto proprio il mitico Andrea Benassi, ragazzo che ai tempi conoscevo molto poco. Quel giorno, ricordo, non c’era molto tempo per sorridere, proprio poiché la tensione e la posta in palio si davano da fare per divorare la tempra dei vari giocatori. Eppure, dopo anni, eccoci qui! Per ciò che riguarda la mia carriera da professionista e da insegnante mi verrebbe per prima cosa da ringraziare le infinite e belle persone che ho incontrato lungo il mio percorso di crescita. Il fatto è che l’elenco sarebbe davvero troppo lungo, e il rischio di dimenticarne qualcuna troppo grosso. Personalmente cerco comunque sempre di farlo in privato, poiché doveroso. Su di me posso ancora dire di aver scritto tre libri sulla tecnica e sull’aspetto mentale del golf, avendo la fortuna di essere stato pubblicato in due occasioni dalla casa editrice di sport più importante in Italia. Con tutti e tre i manuali ho potuto raggiungere il primo posto in classifica tra i 100 bestseller di settore su Amazon, e per uno di essi (ovvero per: “I 50 migliori esercizi per un grande golf”) ho ricevuto la menzione speciale da parte del CONI, del Presidente Malagò e del Presidente della FIG Franco Chimenti, evento che in settant’anni non era mai accaduto a un testo sul golf ed onore che in passato aveva riguardato protagonisti e penne famose del giornalismo, come quelle di Faustino Coppi e di Gianni Clerici. Sono stato opinionista e ospite in alcune trasmissioni televisive e radiofoniche, ho gestito per tre anni un campo in Piemonte, e nel corso della mia carriera ho aiutato più di un allievo nel proprio percorso di passaggio al professionismo. Ritengo da sempre questo sport come una scuola di vita: la più frustrante ma magnifica esperienza che si possa provare.
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Ricordo che quando ero bambino irridevo chi si dedicava al gioco del golf, così per come lo potevo osservare in televisione in quelle prime e rarissime trasmissioni condotte dai veri precursori mediatici del nostro sport in Italia. Poi passò qualche anno e, rivedendo casualmente quegli strani movimenti sul piccolo schermo, improvvisamente, così, dal nulla, rimasi folgorato. Più che di un colpo di fulmine si trattò di un vero e proprio colpo di golf, o perlomeno di alcune mie prime fantasie a riguardo, di me che ad esempio tiravo un ferro medio dal centro di un qualche fairway, producendo una palla con un leggero fade che poi atterrava dolcemente sul green, sparendo in quella lontana buca segnalata dall’asta e dal garrire del suo drappo purpureo. Non ho mai giocato a golf per hobby, questo va detto: da quel fatidico giorno decisi che avrei voluto diventare un professionista, e che mi sarei allenato anche fino allo sfinimento per riuscirci. Il caso ha voluto che il quarto e ultimo giorno della famigerata prova per essere ammessi alla Scuola Nazionale Professionisti ritrovai nel mio terzetto proprio il mitico Andrea Benassi, ragazzo che ai tempi conoscevo molto poco. Quel giorno, ricordo, non c’era molto tempo per sorridere, proprio poiché la tensione e la posta in palio si davano da fare per divorare la tempra dei vari giocatori. Eppure, dopo anni, eccoci qui! Per ciò che riguarda la mia carriera da professionista e da insegnante mi verrebbe per prima cosa da ringraziare le infinite e belle persone che ho incontrato lungo il mio percorso di crescita. Il fatto è che l’elenco sarebbe davvero troppo lungo, e il rischio di dimenticarne qualcuna troppo grosso. Personalmente cerco comunque sempre di farlo in privato, poiché doveroso. Su di me posso ancora dire di aver scritto tre libri sulla tecnica e sull’aspetto mentale del golf, avendo la fortuna di essere stato pubblicato in due occasioni dalla casa editrice di sport più importante in Italia. Con tutti e tre i manuali ho potuto raggiungere il primo posto in classifica tra i 100 bestseller di settore su Amazon, e per uno di essi (ovvero per: “I 50 migliori esercizi per un grande golf”) ho ricevuto la menzione speciale da parte del CONI, del Presidente Malagò e del Presidente della FIG Franco Chimenti, evento che in settant’anni non era mai accaduto a un testo sul golf ed onore che in passato aveva riguardato protagonisti e penne famose del giornalismo, come quelle di Faustino Coppi e di Gianni Clerici. Sono stato opinionista e ospite in alcune trasmissioni televisive e radiofoniche, ho gestito per tre anni un campo in Piemonte, e nel corso della mia carriera ho aiutato più di un allievo nel proprio percorso di passaggio al professionismo. Ritengo da sempre questo sport come una scuola di vita: la più frustrante ma magnifica esperienza che si possa provare.
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